Una crisi che è nata dal basso

Intervista al Prof. Toni Negri

Sulla crisi "finanziaria" globale abbiamo intervistato il Prof. Toni Negri.

"Questa crisi scoppia negli Stati Uniti perché a un
certo momento le banche non riescono più a pagare l’insieme di crediti
che hanno coperto.
Questo succede perché da un lato si è alzato il
livello generale dei costi della riproduzione del sistema, si sono poi
aggiunti i costi della guerra che sono stati estremamente importanti
negli Stati Uniti raddoppiando il debito pubblico americano.
Ma
la cosa assolutamente centrale è stata la forma nella quale i governi
americani, la politica americana, aveva impiantato il superamento del
fordismo, cioè il sistema reaganiano, neocorservatore".
- 
http://noblogs.org/flash/mp3player/mp3player.swf
  (durata 15:39)

Trascrizione intervista
In
questo momento, da un punto di vista globale, la crisi, che era partita
negli Stati Uniti ed era stata definita come crisi finanziaria, si sta
allargando in una sorta di effetto domino non solo a livello di mercati
internazionali, ma anche investendo direttamente le nostre vite.
Perche’ definiamo questa crisi finanziaria come una crisi strutturale
di sistema?

Rispondere e’ abbastanza difficile, devo dire. Intanto
diciamo perche’ questa crisi e’ scoppiata. Esplode negli Stati Uniti
perche’ ad un certo punto le banche non riescono piu’ a pagare
l’insieme dei crediti che hanno coperto. Allora, questo accade per
ragioni che sono assai chiare; da un lato, perche’, con il costo del
petrolio e delle materie prime, e’ cresciuto il livello generale dei
costi di riproduzione del sistema. A questo si sono poi aggiunti i
costi della guerra, che sono stati estremamente pesanti negli Stati
Uniti, dove hanno raddoppiato il debito pubblico.
Ma la cosa
assolutamente determinante e’ stata la forma nella quale il capitale
americano, il governo americano, la politica americana nel suo insieme,
avevano impiantato il superamento del fordismo, cioe’ il sistema
neo-conservatore.
Come tutti sappiamo, la liberalizzazione e le
privatizzazioni erano state estreme, il welfare era stato praticamente
distrutto. E pero’ era evidente che la societa’ americana, essendo una
società maledettamente rigida verso il basso, cioe’ ferma nei suoi
bisogni e nelle sue esigenze, non rifiutava ne’ di curarsi ne’ di
comprarsi la casa, ne’ le famiglie rinunciavano a mandare i loro figli
a scuola.
Allora succede che ad un certo punto il capitale, il
governo sono stati costretti a riaprire il welfare. Ma lo riaprono in
maniera completamente privatizzata. Invece di socializzare le spese
degli ospedali, della scuola eccetera, di coprirle direttamente da
parte dello Stato, si e’ cominciato a privatizzarle, cioe’ a chiedere
alla gente di pagare. Ma siccome la gente poteva farlo solo in parte,
ma soprattutto prendeva a prestito per riuscire pagare, si e’ creato un
enorme debito che ad un certo punto e’ saltato. Tanto piu’ che, non
contenti di costringere la gente a risparmiare e a spendere i soldi per
sopravvivere, i banchieri e in generale il mondo finanziario – bada
bene, diretto non semplicemente da delinquenti, ma anche da grandi
professori di universita’, di Harvard, di Yale, tutti i vincitori dei
più recenti premi Nobel per l’economia – avevano trovato il modo di
distribuire, di spalmare questo debito in generale sulla societa’,
rinnovandone le forme, prestandosi l’un l’altro i debiti e soprattutto
prestandoli ad altre istituzioni finanziarie fuori dagli Stati Uniti.
Ora, dato che la globalizzazione non e’ un sogno ma una realta’, questa
crisi – scoppiata dal basso negli Stati Uniti, dove non e’ stata una
crisi bancaria inventata, ma e’ nata da quello che e’ un deficit di
spesa che doveva permettere la pace sociale; e quando questo deficit e’
saltato, la crisi e’ scoppiata per questo – si sta allargando a tutto
il mondo, perche’ il mondo e’ globale e non c’e’ sovranita’, ne’ Stato
sovrano ne’ banca nazionale che tenga. A questo punto ci sono due
strade assolutamente evidenti. Da un lato c’e’ il passaggio dal livello
finanziario a quello che e’ il livello imprenditoriale, della
produzione in generale. E’ una vera e propria recessione economica che
si imporra’ in breve tempo un po’ dappertutto. E’ gia’ stata ampiamente
annunciata: tutti gli indici di crescita per l’anno prossimo si
limitano per i paesi centrali allo zero virgola, per i paesi emergenti
ad una cifra, il dieci per cento lo si vedra’ molto molto raramente. Si
stabilizza dunque la recessione, cioe’ si stabilizza quella che e’ una
grande distruzione di ricchezza pubblica.
Qui ci sono state
interpretazioni molto strane, che venivano da uomini di destra che
fingevano di criticarsi. Adesso vanno dicendo: "Ah, questi delinquenti
di banchieri ci hanno rovinato!" Il fatto e’ che la finanza ormai e’
diventato uno strumento produttivo come tutti gli altri, gia’ Marx
riconosceva ampiamente che la finanza era uno strumento fondamentale
per allargare il campo degli investimenti. Dentro alla globalizzazione,
per esempio, tutto il processo che ha portato paesi enormi come la Cina
e l’India alla soglia della maturita’ industriale, tutto il grande
sviluppo di autonomia, fuori della dipendenza, che si e’ dato in
America Latina, non sarebbero stati possibili senza i grandi mezzi, la
grande organizzazione della finanza. D’altra parte, e’ difficile ormai
distinguere il capitale produttivo di beni materiali dal capitale che
invece si organizza nella finanza. Anzi direi che e’ quasi impossibile,
non c’e’ la possibilita’ di distinguere il profitto dalla rendita, e la
rendita finanziaria e’ diventata assolutamente egemone. Non c’e’ nessun
grande industriale italiano che non sieda anche in Mediobanca: cioe’
che non sia li’ a decidere i destini finanziari del paese con tutto
quello che ne consegue.
Il problema centrale e’ a questo punto
riuscire a capire come si fa a bloccare questa deriva: io credo che
tutto questo si possa fare in un solo modo ed e’ rilanciando
completamente quella che e’ la capacita’ delle popolazioni, della gente
che lavora, di riconquistarsi il reddito e quindi di riaprire circuiti
di vita, di consumo e di relativa liberazione dentro questo livello. Ma
tutto questo non si puo’ fare se non attraverso delle lotte, perche’ e’
chiaro che la forma nella quale oggi il capitale si afferma e’ quella
della repressione dei consumi piu’ semplici, dei consumi di
riproduzione al livello al quale siamo evidentemente arrivati. Ed e’ su
questo piano che si tratta di lottare perche’ – se adesso i capitalisti
vogliono ricostruire le loro fortune, come fanno? – devono continuare a
premere, a comprimere quelli che sono i bisogni di sussistenza e di
riproduzione delle moltitudini e questo mi sembra assai difficile.
Ecco, c’è la panacea che viene adesso presentata, con grande enfasi
pubblicitaria : il nuovo interventismo degli Stati nazione, che
addirittura porta per paradosso alcuni tra i neo-con, tra i
propugnatori del sistema neoliberista e dell’ideologia dell’assoluta
libertà di mercato, a diventare paladini dell’intervento statale nella
gestione della crisi. Questo riguarda l’America, ma man mano il
dibattito si sta spostando anche in Europa e ovviamente anche nella
provincia italiana. E’ un paradosso pazzesco che, per altro, non potrà
affatto essere la risoluzione della crisi, per come prima l’hai
analizzata.

Qui bisogna stare molto attenti. Quando si arriva ad un
debito pubblico che è praticamente di diecimila miliardi di dollari,
come negli Stati Uniti, e quando pensi che questo debito pubblico è
prevalentemente sostenuto dai prestiti che la Cina ed i paesi del
continente asiatico e quelli del Golfo fanno agli americani, capisci
che qui il problema diventa la necessita’ di estinguere, o quanto meno
contenere questo debito. Sono cifre che non possiamo neppure
immaginare, sono dieci o quindici volte il bilancio dello Stato
italiano, cioè il bilancio di una nazione di sessanta milioni di
persone. E soprattutto non possiamo neppure immaginare come grandi
paesi come la Cina o l’India o i paesi del Golfo, che sono,
singolarmente presi e nel loro insieme, grandi potenze economiche,
possano continuare a pagare il debito americano senza chiedere delle
contropartite. Delle contropartite in termini di potere effettivo. Ecco
che qui il problema diventa di una pesantezza enorme, perchè di nuovo
si torna a parlare di guerra, e non nei termini delle “guerre di
polizia” alla maniera di Bush, ma di guerre vere, quelle guerre di
distruzione tra le grandi potenze economiche per la conquista
dell’egemonia globale. Ieri, per esempio, mi è cascato l’occhio su di
una notizia assolutamente incredibile da parte dell’agenzia di rating
(cioe’ di valutazione) Moody’s, che è una di quelle grandi agenzie che
servono a garantire altre bande di delinquenti, che garantiscono cioe’
l’affidabilita’ dei bilanci, dei conti delle imprese e delle nazioni.
Bene, in questa situazione, continuano a dare la massima
qualificazione, cioè tre volte "A", agli Stati Uniti d’America, al
bilancio statale degli Stati Uniti. E perche’ dichiarano di farlo?
Perche’ gli Stati Uniti rimangono comunque la più grande potenza
militare. E’ la capacita’ di muovere guerra, di esercitare comando per
via militare la garanzia in ultima istanza della potenza economica
americana.
Questi sono evidentemente i problemi che si aprono e che
ti danno un po’ la vertigine di fronte a quello che sta avvenendo. E
questo rilancia una volta di piu’ il bisogno assolutamente
fondamentale, che ci sia un vero "New Deal". Ma, bada bene, quando dico
"New Deal" mi riferisco a cio’ che questa stagione di riforme e ripresa
dopo la crisi del 1929 e la Grande Depressione degli anni Trenta e’
veramente stata: il New Deal è stata la riapertura del conflitto di
classe. Il suo protagonista, il presidente americano Roosvelt, si rende
conto che per battere i capitalisti responsabili della crisi, bisogna
rimettere in gioco la forza operaia, la forza dei lavoratori, e
addirittura aiuta con il Governo a formare dei nuovi sindacati: la CIO
nasce allora, nel 1933, proprio come sostegno ad una possibilità della
società di respirare fuori dai ritmi imposti dall’impresa dominante
capitalistica. E oggi questa cosa dev’essere riproposta su un livello
piu’ generale: oggi noi dobbiamo evitare i pericoli di guerra, perche’
ricordiamoci che le grandi crisi, quelle che chiamiamo le "crisi
darwniane" del sistema, sono crisi che spessissimo inducono guerra,
perche’ l’egoismo si organizza in guerra, l’egoismo in crisi, l’egoismo
frustrato si organizza in guerra. Ecco, proprio in questa fase, noi
possiamo salvare il mondo, se siamo in grado al massimo di rilanciare
le lotte di quella che e’ oggi la “classe operaia”, e cioè la classe
operaia sociale, quella che produce realmente in maniera generale.

Grazie. Un’ultima battuta: tutto questo
viene poi presentato dai media in maniera a dir poco superficiale, e a
volte in modo addirittura provocatorio, come se la gente non avesse
appunto il cervello per capire le cose …

E’ proprio così e la cosa a cui starei molto attento e’
la ripresa di discorsi fascisti, perche’ si tratta di fascismo quando
si attaccano i grandi padroni del vapore, fingendo che dietro non ci
sia un sistema, un sistema capitalistico, come se i responsabili
fossero solamente dei corrotti. E questa e’ una storia che parte fin
dalla Rivoluzione francese, c’erano i cattivi nobili, ma la nobiltà era
in fondo un sistema buono; e il latifondo è in fondo un sistema giusto,
ma c’è la mafia e non c’è tutto il resto; ci sono i banchieri cattivi e
poi invece gli altri sono buoni …
Tutti questi discorsi servono
a due finalita’: a eliminare la differenza di classe e ad identificare
dei puri e semplici capri espiatori.

Fonte:  http://www.globalproject.info

This entry was posted in Generale. Bookmark the permalink.