La verità sul Tibet secondo il PMLI

La questione del Tibet è stata creata
ad arte dalla cricca reazionaria e semifeudale tibetana istigata e
sostenuta dall’imperialismo e dalla sua politica aggressiva contro
l’allora Cina socialista


(articolo de "Il Bolscevico" n. 17 – 30 aprile 1998)


Della nauseabonda orgia anticomunista
scatenata dalla borghesia e dall’imperialismo che vomitano altro veleno
e calunnie sul socialismo nel tentativo di cancellarlo definitivamente
dalla mente del proletariato e dissuadere le nuove generazioni
dall’aprire i libri del socialismo e del marxismo-leninismo-pensiero di
Mao per spingerle ad abbandonare definitivamente l’aspirazione a
trasformare il mondo, abbattere la società borghese e conquistare il
socialismo fa parte a pieno titolo il film filobuddista, anticomunista
e antiMao di Martin Scorsese, "Kundun"; il film riporta una parte della
vita dell’attuale Dalai Lama, il XIV, dalla nascita alla fuga dal Tibet
nel 1959, con la pretesa di raccontare la "vera storia" della questione
tibetana. Scorsese legge la storia con le lenti della borghesia, della
reazione e dell’imperialismo, deforma o nasconde in parte la realtà di
come si sono svolti i fatti, per portare chi va a vedere il film a
pensare, come Bobbio, che il comunismo per sua natura è dispotico e che
si è imposto dovunque col terrore. Solo che ha sbagliato completamente
esempio.
La liberazione del popolo tibetano dalle catene della schiavitù
feudale, la partecipazione della minoranza nazionale tibetana nel pieno
rispetto dei suoi costumi e tradizioni allo sviluppo della società
socialista nella Cina di Mao poteva essere un fatto compiuto in breve
tempo; all’esercito popolare sarebbero bastati pochi giorni nel 1950
per spazzare via dal potere il governo reazionario tibetano e il pugno
di nobili e ecclesiastici che opprimevano la popolazione, quella parte
cioè dei circa 60 mila componenti la classe superiore che sfruttava i
restanti quasi 1,2 milioni di tibetani tenuti in condizioni di schiavi.
Come bastava un semplice ordine affinché il Dalai Lama fosse arrestato
nel suo palazzo, il Norbou Linka, per impedirne la fuga in India. Il
governo popolare centrale poteva prendere sotto il suo controllo non
solo le questioni di politica estera e non lasciare intatto il sistema
politico e sociale, l’esercito e la moneta, in attesa che il governo
locale e il popolo tibetano decidessero da soli i tempi e i modi delle
riforme. Tutto ciò non è avvenuto. L’esercito popolare non si è
comportato in Tibet come un esercito occupante, è stato autosufficiente
e autonomo per non pesare sulla popolazione; non ha represso e
arrestato gli elementi reazionari istigati dall’imperialismo, che pure
dal 1951 al 1959 hanno organizzato bande armate e compiuto violenze in
varie parti della regione, lasciando il compito al governo locale
nonostante che nella sua maggioranza fosse il centro interno della
controrivoluzione; non ha sparato il primo colpo ma solo reagito una
volta aggredito nella insurrezione controrivoluzionaria del 1959. Il
governo centrale ha sottoscritto e mantenuto accordi affinché la
trasformazione politica ed economica del Tibet avvenisse gradualmente e
soprattutto col pieno consenso e la cooperazione degli strati superiori
del Tibet. L’accordo in 17 punti per la liberazione pacifica del Tibet
sottoscritto dal governo centrale e quello locale il 23 maggio 1951
traccia questa linea. Nelle parti riguardanti la riorganizzazione
dell’esercito e le riforme ancora nel 1959, dopo otto anni, era al
punto di partenza per il boicottaggio dei reazionari tibetani, eppure
il governo popolare centrale aveva concesso altri anni di tempo
affinché maturassero le condizioni per una sua piena applicazione. Si
realizzeranno con la sconfitta delle forze reazionarie tibetane,
costruita con le loro stesse mani.
Ciò rispondeva alla lungimirante e corretta politica del governo
popolare centrale, della Cina socialista guidata da Mao, verso le
minoranze nazionali, applicata alla specifica situazione del Tibet, per
far sì che il popolo tibetano e la regione autonoma del Tibet
occupassero degnamente il loro posto nella Repubblica popolare.
Diversa è oggi la situazione nella Cina guidata dai rinnegati dirigenti
fascisti e revisionisti di Pechino che morto Mao hanno fatto molta
strada sulla via del tradimento di Mao e del socialismo e della
restaurazione del capitalismo. Ma questa è un’altra storia.
Quella della liberazione pacifica del Tibet parla da sola; deve essere
naturalmente letta con gli occhi del proletariato, una lettura di
classe con la lente del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, opposta a
quella spacciata dalla borghesia, dal Dalai Lama, da Scorsese.

I LEGAMI STORICI TRA IL TIBET E LA CINA
I legami storici tra il Tibet e la Cina sono inizialmente costruiti
con matrimoni tra principesse cinesi spose a re tibetani. Nell’800
scoppiano dissensi tra il re e alti ecclesiastici che lo assassinano;
seguiranno 400 anni di divisioni e scontri tra le tribù feudali. Nel
1253 l’armata dell’imperatore cinese ristabilisce l’ unità della
regione che è incorporata nell’impero. La struttura politica e
religiosa del Tibet fu determinata gradualmente dai successivi governi
imperiali. Nel 1275 l’imperatore Kubilai Khan (dinastia Yuans) conferì
al capo della setta buddista di Sakyapa il titolo di referente per
l’impero unificando il potere temporale e spirituale nella figura del
Dalai Lama. Alle successive cerimonie di investitura dei nuovi Dalai,
compreso l’ultimo il XIV, saranno sempre presenti inviati del governo
centrale. I cambiamenti delle dinastie reggenti in Cina non portano
modifiche alla struttura di potere tibetana. La nuova dinastia
imperiale dei Tsings, conferma il potere del Dalai nel 1653. Il governo
locale (kacha) è definito come compiti, struttura e funzioni come
organo amministrativo, composto da 4 kaloons, dignitari d’alto rango
inferiori solo al reggente che risponde al Dalai Lama. La struttura
sociale di tipo feudale che vede sul gradino più alto poche centinaia
di famiglie di nobili, gli alti ecclesiasti e i membri del governo
possedere tutte le ricchezze della regione si manterrà sostanzialmente
fino al 1959.

LE INVASIONI COLONIALISTE
Il declino della dinastia Tsings è segnato dalle aggressioni
colonialiste alla Cina, ivi compresi i territori del Tibet che sono
invasi dagli imperialisti britannici nel 1886. Le truppe inglesi si
scontrano con una dura resistenza del popolo tibetano. Una seconda
invasione inglese si ha nel 1904. Il popolo tibetano sconfitto sul
piano militare proseguiva l’opposizione tanto che gli inglesi non
poterono annettere la regione alle loro colonie. Cercarono così di
provocare la disgregazione interna del Tibet appoggiandosi su un pugno
di reazionari della classe superiore che rivendicavano la fine
dell’oppressione dell’impero cinese per staccare il Tibet dalla Cina e
portarlo sotto il controllo dell’imperialismo inglese. Una occasione
capitò con la rivoluzione repubblicana in Cina nel 1911 contro la
dinastia mancese. I gruppi di reazionari tibetani scatenarono una
rivolta contro il residente imperiale a Lhasa ma anche contro i
tibetani patrioti;, molti di loro furono assassinati, il IX Pantchen
Erdeni fu costretto a fuggire dal Tibet per evitare l’assassinio. Gli
inglesi convocarono la conferenza di Simla, nel 1913, tra Cina, Gran
Bretagna e Tibet con lo scopo di definire un accordo per inglobare il
Tibet nella loro colonia indiana. L’opposizione del popolo tibetano
costrinse la delegazione cinese a non firmare l’accordo. Anche un
secondo tentativo inglese nel 1918 fallì.

MORTE XIII DALAI REGGENZA RABCHEN
Alla morte del XIII Dalai (1933), in attesa del nuovo, la gestione
dell’amministrazione degli affari tibetani spettò al reggente Rabchen,
interprete dei sentimenti patriottici della popolazione ecclesiastica e
laica del tibet che si opponeva alle mire separatiste e filo
colonialiste dei gruppi reazionari tibetani. Rabchen appoggia la guerra
contro gli invasori giapponesi condotta dalle forze comuniste dirette
da Mao.
Il successore del Dalai, l’attuale XIV°, fu trovato dal governo locale
nel 1938 e insediato nel palazzo di Potala a Lhasa il 22 febbraio 1940
con una cerimonia a cui parteciparono come sempre inviati del governo
centrale, allora del Kuomintang.
I gruppi reazionari tibetani tornarono all’attacco nel 1947; finita la
vittoriosa guerra contro l’occupazione giapponese infuriava in Cina lo
scontro tra l’esercito popolare guidato da Mao e le truppe reazionarie
del Kuomintang sostenute dall’imperialismo americano, che in Asia era
affiancato dagli imperialisti britannici, francesi e olandesi per
reprimere movimenti indipendentisti nelle colonie e per contenere
"l’avanzata del comunismo".
Già nel 1943 il governo locale del Tibet aveva annunciato la
costituzione di un proprio ufficio per gli affari esteri. Nel 1947 un
gruppo di reazionari tibetani organizzarono un complotto, arrestarono
il reggente Rabchen, assassinato in carcere, e diversi patrioti fra cui
il padre del Dalai Lama e presero il potere manifestando l’intenzione
di separare il Tibet dalla Cina e trasformarlo in una colonia
imperialista, secondo la teoria, esposta dagli inglesi della necessità
di creare uno stato cuscinetto tra India e Cina. Gli inglesi
convocheranno nel marzo 1947 una conferenza asiatica a Nuova Delhi alla
quale il Tibet fu invitato come paese indipendente. A fianco delle
ingerenze inglesi sul Tibet si schierarono gli Usa che nel mese di
ottobre del 1947 invitarono nel loro paese una "missione commerciale
tibetana". La missione arriverà negli Usa nel luglio 1948. La città
indiana di Kalimpong diventa il centro esterno di base per
l’aggressione imperialista al Tibet. Nel luglio 1949 a fronte della
disfatta oramai in vista delle forze reazionarie del Kuomintang il
governo locale del Tibet invita i rappresentanti del Kuomintang a
lasciare Lhasa, per "prevenire l’infiltrazione comunista in Tibet".
Nell’agosto del 1949 sulla stampa americana appaiono articoli che
difendono la separazione del Tibet dalla Cina, il suo ingresso alle
Nazioni Unite e chiedono al governo di aiutare militarmente il governo
locale del Tibet. Gli imperialisti americani e inglesi vista fallita
l’operazione di sostegno al Kuomintang cercano di sottrarre alla Cina
socialista perlomeno il Tibet. Ma falliscono.

NASCITA DELLA REPUBBLICA POPOLARE CINESE. PROGETTO DI LIBERAZIONE PACIFICA DEL TIBET
Il primo ottobre 1949 Mao proclama la nascita della Repubblica
popolare cinese; tutta la Cina è liberata ad eccezione del Tibet e di
Taiwan. Il 24 novembre 1949 da Pechino il Panchen Erdeni lancia un
appello per la liberazione del Tibet. Il ministero degli esteri cinese
denuncia le manovre imperialiste contro il Tibet il 20 gennaio 1950. Il
governo cinese conferma la volontà di una liberazione pacifica del
Tibet e nel luglio invia in Tibet il budda vivente Garda, un patriota
tibetano vicepresidente del governo popolare provinciale del Sikang (la
zona confinante col Tibet), a prendere contatto col governo locale e
negoziare la liberazione pacifica della regione. Al suo arrivo a
Tchamdo è bloccato dai reazionari tibetani organizzati da un agente
britannico (Robert Webster Ford) che il 21 agosto lo fa arrestare e
assassinare.
Il governo popolare centrale dà perciò l’ordine all’esercito popolare
di liberazione (Epl) di entrare in Tibet. I reazionari in seno al
governo locale tibetano ordinano la resistenza a Tchamdo. Il 19 ottobre
1950 l’Epl libera Tchamdo. Il 1° novembre 1950 il segretario di Stato
americano Acheson urla all’aggressione cinese al Tibet e annuncia
pesanti conseguenze. Il governo indiano denuncia l’invasione del Tibet
da parte della Cina. Perciò i reazionari tibetani guidati dal reggente
Tagcha portano il Dalai a Yatung, da dove contano di spostarlo in
India. Ma i tre principali monasteri e le masse popolari tibetane si
oppongono, diversi consiglieri del Dalai disapprovano la fuga verso
l’India e sono per aprire negoziati col governo popolare centrale.
Nella primavera del 1951 Tagcha è costretto a dimettersi e il Dalai
nomina 5 plenipotenziari incaricati di condurre per conto del governo
locale i negoziati con il governo popolare centrale. Falliscono così le
manovre imperialiste per staccare il Tibet dalla Cina.

L’ACCORDO IN 17 PUNTI
I negoziati sotto la condotta diretta del CC del PCC e di Mao si
conclusero il 23 maggio 1951 con la firma dell’accordo in 17 punti per
la liberazione pacifica del Tibet. In seguito alla firma dell’accordo
il Dalai lascia Yatung e torna a Lhasa il 17 agosto 1951, dove il 26
ottobre l’esercito popolare entra acclamato calorosamente dalla
popolazione. I reazionari tibetani per sabotare l’accordo dettero vita
a una "assemblea popolare" per chiedere il ritiro dell’Epl dal Tibet,
circondarono il comando dell’Epl a Lhasa e lanciarono attacchi armati
contro patrioti tibetani. Il 27 aprile 1952 il governo locale allontanò
dalle loro funzioni gli animatori dell’assemblea e ne ordinò il 1°
Maggio lo scioglimento.
L’atteggiamento della Cina di Mao come si comprende dall’accordo in 17
punti è di estremo rispetto delle specificità della situazione
tibetana, non viene toccata l’organizzazione del governo locale e la
struttura sociale, sono rispettate le credenze religiose, le usanze e i
costumi locali, qualsiasi riforma è subordinata all’accettazione del
governo locale. Da parte sua l’esercito popolare secondo le direttive
di non pesare nemmeno per uno spillo sulle spalle della popolazione
tibetana si autorganizza. In una direttiva interna del CC del PCC sul
lavoro nel Tibet del 6 aprile 1952 si afferma: "Dobbiamo fare ogni
sforzo e usare metodi appropriati per conquistare il Dalai e la
maggioranza dei suoi strati superiori, isolare la minoranza dei cattivi
elementi e arrivare in molti anni, gradualmente e senza spargimento di
sangue, alla trasformazione politica ed economica del Xizang (Tibet).
(…) Se le cose andranno per le lunghe non ne avremo grandi danni, al
contrario, ne trarremo dei vantaggi. Lasciamo che essi (i reazionari
che si opponevano all’accordo in 17 punti, ndr) commettano ogni genere
di atrocità insensate contro il popolo, noi ci occuperemo solo della
produzione, del commercio, della costruzione di strade, della medicina
e del fronte unito (unità con la maggioranza e educazione paziente) e
di altre cose buone, con lo scopo di conquistare le masse e aspettare
che maturi la situazione per trattare di nuovo il problema
dell’applicazione dell’accordo. Se essi trovano che istituire le scuole
elementari non sia conveniente possiamo anche smettere di farle".
Il governo popolare centrale promuove lo sviluppo del Tibet con la
costruzione di strade, ponti, ospedali, scuole, fabbriche e fattorie.
Risolve le questioni della frontiera con l’India che aveva ancora sul
territorio della regione installazioni postali e telegrafiche
installate durante l’aggressione inglese del 1904; il trattato firmato
il 29 aprile 1954, basato sui cinque principi della coesistenza
pacifica, riguarda il commercio e le comunicazioni fra la regione del
Tibet e la Cina e l’India. Con questo accordo l’india di Nehru
riconosce la sovranità cinese sul Tibet.
Il Dalai partecipa con la delegazione tibetana nel settembre 1954 alla
prima Assemblea popolare nazionale cinese che si tiene a Pechino.
Ambienti reazionari cercano di cogliere l’occasione per fomentare
disordini.
Il 9 marzo 1955 il governo popolare centrale approva la costituzione
della regione autonoma del Tibet che sarà costituita in base ai lavori
di un apposito comitato preparatorio costituito nell’aprile del 1956,
con il Dalai Lama come presidente e il Panchen Erdeni vicepresidente.
Per l’opposizione dei settori reazionari tibetani i lavori del comitato
non fanno passi in avanti. Come pure due punti importanti dell’accordo
del 1951 quali la riorganizzazione dell’esercito tibetano nell’esercito
popolare e la riforma del sistema sociale di servitù. Il governo
centrale nonostante questi limiti nell’applicazione dell’intese non
vuole mettere furia al governo locale tibetano e anzi alla fine del
1956 lo informa che per altri 6 anni non saranno introdotte riforme
democratiche nella regione e che il momento della loro introduzione
sarà discusso e deciso tra i dirigenti tibetani e le masse popolari del
Tibet.
I reazionari tibetani con l’aiuto dell’imperialismo e dei reazionari
cinesi di Taiwan preparano una sommossa allorché il Dalai si recherà in
India alla fine del 1956 per le celebrazioni del 2500 anniversario del
budda ma i loro tentativi di scatenare una sollevazione a Lhasa
falliscono. Nel maggio e giugno del 1958 organizzano bande armate in
diverse zone della regione, grazie ai rifornimenti in armi di Taiwan,
dirette dal comando installato nella città indiana di Kalimpong poco
oltre la frontiera. Queste bande si rendono responsabili di sabotaggi
alle vie di comunicazione, violenze e saccheggi contro la popolazione.
All’inizio del ’59 ritennero giunto il momento per un nuovo tentativo
di sollevazione e concentrarono un certo numero di controrivoluzionari
armati a Lhasa.

LA SOLLEVAZIONE CONTRORIVOLUZIONARIA DEL ’59
Il Dalai aveva deciso di assistere il 10 marzo ad una
rappresentazione artistica all’auditorium del comando della regione
militare del Tibet dell’esercito popolare a Lhasa. Il gruppo
reazionario tibetano dicendo che l’invito dell’esercito popolare era
una trappola per sequestrare il Dalai scatena una rivolta nella
capitale. Il rappresentante ad interim del governo centrale e
commissario politico del comando della regione militare del Tibet con
una lettera invita il Dalai a non recarsi al comando per non avere
difficoltà in seguito alle provocazioni degli ambienti reazionari nella
capitale. Gruppi armati mobilitati dal gruppo reazionario circondano la
sede del quartier generale dell’esercito popolare e dei rappresentanti
del governo centrale a Lhasa. Assassinano varie personalità tibetane
che si opponevano alla sollevazione separatista fra cui un membro del
comitato preparatorio della regione autonoma e un membro del governo
locale, organizzano posti di blocco armati lungo le principali vie di
comunicazione.
Il Dalai in uno scambio di corrispondenza col rappresentante del
governo centrale a Lhasa, il generale Tan, afferma di essere stato
impedito dai suoi consiglieri di recarsi alla rappresentazione
teatrale, condanna la cricca reazionaria che ha violato la legge e che
compromette le relazioni tra il governo centrale e locale, dice di
voler mettere fine agli atti illegali. Condanna nella lettera del 12
marzo un attacco armato di soldati tibetani sulla strada per Tsinghai.
Comunica che ha ordinato la dissoluzione immediata della illegale
"assemblea popolare" entrata in clandestinità dopo lo scioglimento
deciso il 1° Maggio 1952 e denuncia l’introduzione di elementi
reazionari nella sua residenza di Norbu Linka. Nella lettera del 15
marzo il generale Tan esprime la sua preoccupazione per la sicurezza
personale del Dalai e lo invita, se lo ritiene necessario, a ricorrere
per un breve tempo alla protezione presso il comando della regione
militare. Nella risposta del 16 marzo il Dalai comunica di volersi
impegnare a tracciare una netta linea di demarcazione tra gli elementi
progressisti e quelli controrivoluzionari e non appena avrà chiarito su
quanti saranno a suo fianco si recherà segretamente al comando della
regione militare. Ma nella notte del 17 marzo il Dalai fugge da Lhasa
verso l’India e due giorni dopo i reazionari lanciano un attacco su
larga scala contro l’esercito popolare. L’Epl reagisce e aiutato dalla
popolazione, dagli ecclesiastici e dai laici patriottici sconfigge in
due giorni i controrivoluzionari.

LA VITTORIA DEL POPOLO TIBETANO
Il 28 marzo il primo ministro Chou En Lai allo scopo di
salvaguardare l’unità del paese e l’unione delle nazionalità ordina al
comando della regione militare del Tibet di sconfiggere completamente
la ribellione in tutta la regione, di sciogliere il governo locale che
l’ha fomentata e di conferire le funzioni e i poteri del governo locale
al comitato preparatorio della regione autonoma del Tibet. Di questo
organismo da cui sono espulsi 18 elementi reazionari che avevano
organizzato o appoggiato la ribellione è nominato presidente il
Pantchen Erdeni.
La veloce repressione del moto controrivoluzionario è possibile dato
che, degli oltre 1,2 milioni di tibetani dalla parte dei
controrivoluzionari, si sono schierati solo 20 mila uomini tra cui
molti arruolati a forza e diversi provenienti da fuori il Tibet. La
maggioranza della popolazione tibetana composta da contadini e
allevatori aspira a liberarsi del sistema feudale di servitù che li
costringe all’estrema povertà. Anche nello strato superiore, fra i
possessori di terre e ecclesiastici vi sono numerosi patrioti che si
sono schierati contro la ribellione e sostengono il processo di riforme
democratiche del loro sistema sociale.
Sono queste le basi che permettono la vittoria rapida dell’Epl e la
sconfitta dei piani dei reazionari e degli imperialisti. Con
l’imperialismo americano che strepita contro il "barbaro intervento
contro il popolo tibetano" mentre il Dalai dalla città indiana di
Tezpur diffonde il 18 aprile una dichiarazione a sostegno
dell’indipendenza del Tibet, contro l’accordo del 1951 a suo dire non
negoziato ma "imposto" dal governo centrale, per sostenere che i primi
a sparare sono state le truppe dell’Epl il 17 marzo. La versione dei
fatti sposata da Scorsese in "Kundun".
Il film si chiude con il Dalai che dal rifugio in India osserva col
cannocchiale le alte vette tibetane. Non riesce a vedere però le
manifestazioni di massa a Lhasa e nelle altre città con le quali il
popolo oppresso esprimeva il suo appoggio alla repressione della
controrivoluzione. Non vede il milione di schiavi che si levava ad
accusare i membri reazionari del governo locale, fra gli ecclesiastici
e i nobili, dei loro crimini, che spezzava le catene della schiavitù
abolendo la proprietà fondiaria e il sistema di servitù. Adesso non
erano più bestie da soma ma padroni del loro destino, protagonisti
della storia del Tibet, non più centrata su re e nobili, a fianco della
altre nazionalità della Cina socialista, nella Regione autonoma del
Tibet che sarà formalmente proclamata nella prima sessione della prima
Assemblea popolare del Tibet tenuta a Lhasa dal 1° al 9 settembre del
1965.

This entry was posted in Generale. Bookmark the permalink.