Quell´italiano sul Granma

La malinconia dell´addio di Gino Doné. È morto a San Donà del Piave. Le
ultime immagini mostrano un signore a passeggio sull´argine della città
veneta beato come quando frugava la sabbia delle spiagge della Florida
alla ricerca di denti di pescecane. Quei denti che gli ami dei
cacciatori strappavano alla preda. Stivali, cappello con visiera, barba
alla Hemingway e una maglietta segnata dal nome «Granma». Proprio la
barca di Fidel e del Che, traversata avventurosa dal Messico con la
speranza di rovesciare la dittatura di Battista. Impresa alla quale 82
utopisti si erano associati, impresa incredibilmente riuscita.

Ma il Doné che aveva salvato il Che folgorato dall´asma nelle
ore dello sbarco ritrascinandolo nel plotone di comando, 2 dicembre
1956; quel Gino Doné sorridente e sicuro non ce l´ha fatta ad entrare
all´Avana accanto all´amico del cuore: Ernesto. Lo ha sempre chiamato
Ernesto nei primi incontri che ci hanno riunito in Florida quando l´ho
ripescato, nove anni fa, assieme al fotografo Pigi Cipelli. «Il Che è
venuto dopo. Lo hanno inventato gli altri», si arrabbiava. «L´uomo che
mi incantava a Città del Messico era solo Ernesto. Il Che è stata una
bella invenzione dei cubani e dei giornalisti accorsi ad osservare come
avrebbero cambiato la storia i ragazzi al potere all´Avana; ma io
ricordo l´Ernesto che saltava la cena per sfamare una madre e tre
bambini gelati dall´inverno. Allungavano la mano sulla porta della
posada dove i pochi soldi consolavano malamente la nostra pancia vuota.
Ernesto spariva per riapparire trionfante: "stasera non ho fame".
Allora sono uscito: la donna e i bambini mangiavano. Allora sono
rientrato e ho preso Ernesto per il bavero inchiodandolo al muro:
giusto sfamare chi ha fame, ma il tuo impegno riguarda tutti noi e la
gente che a Cuba aspetta di vedere crollare Battista. Non rifarlo
più…».

Ma Ernesto lo ha rifatto. Ernesto malinconico per il matrimoni fallito
con la moglie peruviana; per Hildita, la figlia piccola scomparsa a
Lima assieme alla madre. Insomma l´Ernesto che con Gino Doné e un
volontario domenicano costituivano l´intera legione straniera della
spedizione del Granma. All´impresa del Granma Gino aveva preso parte
con la qualifica di «tenente della retroguardia» comandata da Raul.
Perché proprio a un italiano di 32 anni, il più vecchio della
spedizione, era stato affidato l´incarico di contenere l´inseguimento
dei militari di Battista? Ecco la prima parte di una vita irripetibile.

La seconda guerra mondiale sorprende Doné a Pola, nel tutti a
casa dell´8 settembre. Scappa. Torna a piedi a San Donà del Piave. A
piedi, sfuggendo i posti di blocco dei tedeschi. Ma i fascisti del suo
Veneto lo vanno a prendere in casa. Disertore da spedire in Germani a
meno che non accetti la divisa tedesca per dimostrare il pentimento.
Donè indossa i panni di Hitler e subito riscappa. Lo riprendono:
diventa carne da cannone da schierare ad Anzio per fronteggiare lo
sbarco alleato. Primissima linea per venti giorni così vicino agli
americani che dovrebbe uccidere e ai quali non spara, da ascoltarne i
discorsi ed innamorarsi della loro lingua. Terza fuga: sempre a piedi
attraversa l´Italia per tornare a San Donà. La campagna attorno era una
palude: i tedeschi l´avevano riallagata temendo uno sbarco americano.
Viene contattato dall´intelligence inglese e fino alla fine raccoglie e
imbarca su un sottomarino alleato che affiora a Caorle, piloti
britannici e australiani abbatuti nella pianura veneta e nascosti dai
contadini. Centro strategico la fattoria Argentin, padre di Moreno
Argentin, campione del pedale. Londra lo decora con una croce di
guerra, ma nel dopoguerra tornano le tasche vuote. Clandestino in
Francia, clandestino ad Amburgo, clandestino su una nave della Lauro
diretta all´Avana. Dove comincia a lavorare manovrando scavatrici per
aprire una strada verso Santiago de Cuba. Incontra la bella figlia di
un tabaquero, la sposa. Il tabaquero appartiene ai radicali ortodossi
che finanziano il Fidel in esilio a Città del Messico. Gino va e viene
con i dollari cuciti sotto la fodera della giacca. Nasce l´amicizia con
Castro il quale gli cucina perfino un piatto di spaghetti, ma è Ernesto
l´amico che ammira: comincia l´avventura. Finisce poco dopo lo sbarco.
Un´imboscata e Gino si salva a Santa Clara dove viene incaricato di
addestrare militarmente giovanissime maestre rurali. La prima allieva
si chiama Aleida March futura moglie del Che o di Ernesto, come
ricordava Gino. La prepara ad un attentato che non si farà. Poi
un´imboscata della polizia. Clandestino su una nave danese,sbarca a New
York dove comincia la terza vita. Imbianchino, ma anche Papillon. Va in
Colombia a cercare smeraldi, prova a scavar l´oro in Venezuela, si
tuffa fra i galeoni delle flotte tesoriere dell´impero spagno nella
speranza di pescare un tesoro.

Gli anni passano, sposa una signora di 14 anni più matura.
Diventa un pensionato squattrinato con problemi quotidiani che
annebbiano ogni passato. Un giorno rivede un amico cubano che lo
riporta all´Avana accolto dal tappeto rosso che Fidel riserva agli
ospiti speciali. Ma Fidel e Raul non hanno tempo per riceverlo. Ne
ascolto l´amarezza nella registrazione dei primi giorni d´intervista.
Lo accoglie Jesus Montané, barba rossa potentissimo nell´anticamera di
Fidel. Montané lo ascolta, si commuove e l´invita a tornare quando gli
impegni di stato lasceranno respirare i fratelli Castro.
Per Pigi Cipelli e per me che primi abbiamo ascoltato il racconto delle
sue tre vite è stata un´esperienza giornalistica insolita: dovevamo
ravvivare una memoria affogata nel tempo. Non c´era mai capitato. Gino
ricordava lentamente e quando un episodio usciva dall´oscurità della
memoria telefonava al nostro albergo, due passi dalla sua casetta:
«Sono le tre di notte, ma devo raccontarvi…». Qualche minuto e si
piegava sul registratore.

L´Italia ne ha scoperto l´avventura (più avventura che impresa
politica) attraverso i nostri servizi del Corriere della Sera e del
magazine Sette. È subito diventato un protagonista molto amato,
testimone di tante storie vissute con l´impegno di chi non sopportava
le ingiustizie: «Ernesto mi ha fatto capire tante cose…». In Italia
ci siamo parlati qualche volta, solo al telefono. Ogni volta ripetevo
il dubbio: «Hai ricordato proprio tutto?». Gino rideva: «Se vieni ti
dico il resto». Adesso, l´ultimo viaggio.

di Maurizio Chierici

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